L’inflazione musicale potrebbe essere un problema

Sick Luke, Noyz Narcos, Bresh, Paky, Fabri Fibra, Luche: sono solo alcuni degli artisti che hanno pubblicato o annunciato un album in questi primi mesi del 2022. Alcuni di questi sono attesi da anni (Fabri Fibra e Luche su tutti), mentre altri hanno sorpreso il pubblico (penso sopratutto a X2 di Sick Luke e a Oro blu di Bresh), che comunque si ritiene soddisfatto della quantità di musica che può ascoltare e apprezzare. Il punto è proprio questo: tutte queste nuove uscite pubblicate in breve tempo, verranno apprezzate a pieno? Secondo me no, e spiego il perché.

Mediamente ogni album è formato da almeno 10 tracce, che hanno un proprio peso specifico che varia da artista ad artista (ad esempio Succo di zenzero Volume 2 di Wayne Santana risulta all’ascolto meno impegnativo dell’ultima fatica di Murubutu), e ogni venerdì – o quasi – viene pubblicato almeno un album o un singolo, siano essi di artisti già conosciuti o di nomi nuovi da scoprire. Si rischia così di far durare ogni progetto al massimo una settimana, perchè al termine di essa bisognerà ascoltare la nuova musica di un altro artista.

Ne consegue che – secondo me – sette giorni non sono sufficienti ad apprezzare a pieno il contenuto di un album, che invece deve essere ascoltato e riascoltato per poterne apprezzare tutte le sfumature e le sfaccettature. Certamente non mancano le eccezioni, infatti ci sono album (o meglio, compilation di brani) che richiedono poca attenzione e che possono essere compresi a pieno anche dopo un solo ascolto, ma solo perché il messaggio che intendono veicolare è lo stesso in tutte le tracce. Tuttavia non credo che questi album abbiano senso di esistere, poiché alimentano il “rumore di fondo” di cui siamo circondati e che offuscano progetti che invece, anche al netto di gusti e opinioni personali, sono meritevoli di attenzione.

Ecco che in questa logica assume molta più importanza il singolo brano, poiché tendenzialmente richiede meno tempo per essere prodotto e meno attenzione all’ascolto rispetto ad un intero album o ep. Però se una cosa funziona oggi, non vuol dire che per forza rappresenti la scelta migliore, soprattutto a lungo termine. Per forza di cose, infatti, un singolo ha una forza comunicativa diversa rispetto ad un album: ha infatti un impatto e una forza comunicativa maggiore, ma non potrà avere tutti i contenuti che invece possono essere trasmessi con un disco.

Fatte le dovute eccezioni, un disco è troppo e un singolo è troppo poco: qual è dunque la soluzione? Come spesso accade, la via di mezzo: non esiste infatti il formato ideale o quello a cui tutti devono attenersi, ma si possono ugualmente fare un paio di considerazioni. Penso infatti che sia necessario ridurre il “rumore di fondo” che ci confonde e ci impedisce di dare il giusto valore alla musica. Un album dovrebbe essere ascoltato e approfondito diverse volte prima di essere giudicato in modo cosciente, perché è stato lavorato per mesi o addirittura anni da più persone che hanno contribuito a renderlo più o meno sfaccettato, completo. Bisognerebbe analizzare i testi, ascoltare la strumentale e magari studiarne anche il background per capire a fondo il messaggio che l’artista ha voluto dare. Lavorare in questo modo per tutti gli album che escono ogni settimana è però, purtroppo, praticamente impossibile.

Identificare un unico colpevole di questa “inflazione” del mercato musicale non è utile alla causa, anche perché si potrebbero trovare responsabilità in ognuno: quello che possono fare gli artisti è magari fare meno rumore con uscite inutili e tendenzialmente vuote per concentrarsi su quelle sincere (poche ma buone). Gli ascoltatori invece possono dedicare più attenzione ai singoli progetti e approfondirli, per valorizzare a pieno il lavoro dell’artista. Per iniziare si potrebbe ascoltare per bene la discografia di Fabri Fibra (facendo un esempio su tutti) in attesa del nuovo album: sono sicuro che potrete trovare perle sconosciute.

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