Delga (@recklessdelga), nome d’arte di Antonio Del Gaudio, è un artista bolognese classe ’99: fa musica da quando è piccolo e si ispira ai Narcos non solo per i baffi, ma anche (e sopratutto) per l’idea di aggregazione ed unione che riporta nei suoi brani. Gli ho fatto qualche domanda per approfondire la sua figura artistica e le sue idee.
Da dove nasce la tua passione per la musica? È nata grazie a mio padre, bassista e contrabbassista jazz, perché fin da quando ero piccolo teneva in casa diversi strumenti musicali e io ne rimasi affascinato; è stato un avvicinamento naturale perché lui non mi ha mai forzato, ma al contrario ero io a volerne sapere di più. Successivamente ho avuto i primi gruppetti, e dai 12 ai 17 anni ho ho suonato in un gruppo prog-rock.
Il rap quindi è arrivato dopo. Sì, il primo contatto che ho avuto con l’hip-hop è stato quando ho partecipato alla mia prima Grigliata del Fermi (il Liceo che ho frequentato): i ragazzi che rappavano emanavano un’energia pazzesca che riusciva ad unire tutti i partecipanti. Mi innamorai di quel contesto molto underground che si concentrava molto sulla dimensione live.

E tu senti di appartenere a questo mondo? In realtà mi considero un profano del rap, in quanto ho un background diverso, però mi piace molto questo genere perché ti dà la possibilità di esprimere tanti concetti, se sai usare le parole giuste. In questo tipo di musica sono molto importanti i testi che spesso hanno una grande forza comunicativa.
Come nascono di solito le tue canzoni? Quasi sempre inizio dalla musica, che può essere un beat di Slego (@slego_fosho) o una bozza che creo io con chitarra o basso. Successivamente aggiungo il testo, e le parole che scrivo derivano da esperienze che vivo in prima persona: non forzo mai il processo creativo.

Che cosa vuoi comunicare con i tuoi brani? Io vedo la musica come un un mezzo, non come un fine ultimo a cui arrivare, infatti il mio obiettivo è quello di unire le persone attraverso le canzoni e la musica. Voglio fare un po’ come Miguel Gallardo (narcotrafficante messicano la cui vita è narrata nella serie Netflix Narcos, ndr) in Messico: ovviamente non spacciare o essere un criminale, ma unire le forze degli artisti di Bologna per crescere tutti assieme.

A proposito di unire gli artisti: lo scorso luglio sei stato uno degli organizzatori del concerto Bolo Kantera. Esatto: tramite Eugenio Bonetti siamo riusciti ad ottenere un palco nel Giardino Europa Unita, in pieno quartiere Mazzini, e il 16 luglio 2020 (data che non potrò mai dimenticare), assieme anche a Kalla (Filippo Calabrò), Antonio Lena, Luca Calabrò e Andrea Rocca, abbiamo organizzato questo concerto. Ha riunito sul palco una ventina di artisti e sotto al palco molti ragazzi che hanno partecipato a questa festa a base di musica. Sono soddisfatto del risultato finale, perché era da tanto tempo che provavo ad unire la gente e con questo concerto penso di esserci riuscito.
Secondo te ha avuto successo anche per gli altri? Credo proprio di sì, perché anche dopo quel 16 luglio la gente ha continuato a parlarne. È stato per molti il primo concerto dopo due mesi di quarantena e dopo alcune settimane in cui le cose da fare erano poche, ha rappresentato una ventata d’aria fresca sia per gli artisti che per gli ascoltatori.
Quali artisti hanno partecipato? Fondamentalmente si sono esibiti artisti giovani emergenti di Bologna: c’erano i più esperti, come ad esempio Gaucho, Corei, Tibe e Bobby Wanna (gli ex Keep The Flow, ndr) ma anche artisti meno conosciuti che hanno avuto l’occasione di esibirsi dal vivo per la prima volta. C’era un bel mix anche di stili musicali, anche se il denominatore comune tra tutti gli artisti è il rap.
Credi che in futuro potranno esserci concerti simili? A me piacerebbe molto, vorrei creare una rassegna duratura nel tempo che possa essere conosciuta in tutta Bologna ma anche fuori. Proprio con l’obiettivo di unire le persone attraverso la musica, credo che situazioni come queste in cui molti artisti uniscono le forze possano essere d’aiuto a tutti.

Il tuo ultimo singolo prodotto da Slego si chiama Sotto i Portici, come lo presenteresti? In questo brano parlo della comfort zone in cui ognuno di noi spesso si rifugia per paura di affrontare quello che c’è fuori: solo se si esce da questa gabbia, si riesce a scoprire la vera vita e anche se stessi.
Immagino però che questo sia solo un punto di partenza. Sì, decisamente, infatti nei prossimi mesi uscirà nuova musica con cui cercherò di veicolare ancora meglio il mio messaggio: unione e passione attraverso la musica.


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