Si può lavorare su internet

BOLOGNA 14 gennaio 2021 “Sono costretti a stare relegati nei loro loculi senza sosta”. Qual è il soggetto di questa frase? Schiavi? Fuggitivi? No. Il soggetto di questa frase è “gli streamer”. Le parole in questione sono presenti nel servizio di Report realizzato da Giuliano Marrucci andato in onda lunedì 11 gennaio, che ha come oggetto le forme di intrattenimento fornite dalle piattaforme di streaming, quali Youtube e Twitch, e soprattutto il loro funzionamento. Il giornalista ha però fatto alcune semplificazioni e veri e propri errori che danno un messaggio sbagliato, e forniscono un’immagine diversa da quello che avviene nella realtà, soprattutto perchè una grande fetta del pubblico del programma è estranea o quasi al mondo virtuale.

Il più grande errore, a mio avviso, è proprio la frase citata prima e il concetto espresso: è vero che molti streamers non hanno a disposizione studi spaziosi come quelli che si vedono in Tv ma non si possono paragonare a dei loculi, e soprattutto non sono obbligati da nessuno a fare quello che fanno. Il lavoro di streamer (sì, è un lavoro) è equiparabile a quello di un libero professionista: più si lavora e più si guadagna. Il profitto è essenziale al mantenimento dei costi del “loculo”, che rappresenta il luogo di lavoro, e al mantenimento dello stesso streamer.

Twitch, piattaforma streaming di proprietà di Amazon

Se si parla di lavoro si parla inevitabilmente anche di soldi (argomento comprensibile e legittimo, visto il tipo di trasmissione) e a questo punto il giornalista parla dei guadagni degli youtubers e streamers con più seguito, la cosiddetta “punta della piramide”: vengono fatti alcuni nomi, tra cui l’italiano FaviJ che, secondo Report, avrebbe guadagnato tra i 2 e gli 8 milioni di euro in un anno e viene chiesto ad altri streamers quanto costa abbonarsi al loro canale. Considerazioni giuste. Però per far conoscere questo mondo a chi ne è estraneo, sarebbero state utili anche domande del tipo: “dopo quanto tempo hai iniziato a guadagnarti da vivere con questo lavoro?”, oppure “quanto tempo ti serve per realizzare un video?”. Dalle immagini andate in onda, si potrebbe dedurre che per fatture grosse cifre basti mettersi davanti alla videocamera nel proprio “loculo” e iniziare a parlare, aspettando di vedere il proprio conto crescere. Non è così, perchè per uno che guadagna milioni, ce ne sono una miriade che guadagnano cifre bassissime, e questo vale in ogni altro ambito lavorativo.

Il servizio si chiude con una domanda posta dal conduttore Ranucci: “lo streamer può diventare editore di se stesso?”. La risposta evidentemente è sì, anzi lo è sempre stato. Nel giornalismo “classico”, l’editore è colui che sostiene economicamente una testata giornalistica e ha il potere di guidare in modo più o meno deciso l’indirizzo della testata. Lo streamer invece dipende economicamente dal suo “datore di lavoro” (Twitch, Youtube ecc.) e dal suo pubblico (che lo supporta con donazioni o con abbonamenti), e deve sottostare alle regole poste dal sito. Basta. Finchè non vìola queste norme e le clausole presenti nel contratto, è libero di lavorare come preferisce e di creare i contenuti che vuole. Quindi sì, lo streamer può essere editore di se stesso poiché non lavora a nome di Twitch, ma autonomamente.

Il servizio di Report è stata, secondo me, un’occasione persa. Avrebbe potuto mostrare al grande pubblico un mondo nato da poco e in continua crescita, mettendo in evidenza oltre alle sue evidenti criticità anche i suoi punti di forza. Avrebbe anche potuto raccontare come hanno fatto gli streamers e gli youtubers a crearsi un lavoro. Avrebbe potuto spiegare che molto probabilmente questo è il futuro dell’intrattenimento (nel bene e nel male) ed è una potenziale “evoluzione” della TV: perchè non interessarsi a questo nuovo spazio e non approfondirlo con attenzione? Forse, come tutte le novità, incute timore invece che destare curiosità, ma speriamo che la paura passi in fretta.

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