Sanpa: il fine giustifica i mezzi?

Locandina della docu-serie SanPa, Netflix

SanPa è la chiacchieratissima docu-serie firmata Netflix uscita recentemente che sta facendo parlare di sè e dei suoi protagonisti. Racconta la nascita e lo sviluppo di San Patrignano, la più grande comunità di recupero per tossicodipendenti d’Europa fondata nel 1978 da Vincenzo Muccioli, attraverso le testimonianze di alcuni ex tossicodipendenti che hanno affrontato il percorso della riabilitazione proprio in quella comunità, e del figlio di Muccioli, che l’ha gestita dopo la morte del padre.

Il contesto in cui nasce questa realtà è un’Italia in cui la dipendenza da sostanze (soprattutto eroina) era una piaga dilagante tra i giovani e non solo: il tossicodipendente diventava una vergogna per la famiglia, quando c’era, e per la società intera. Veniva emarginato, diventava un essere impersonale da abbandonare e da nascondere. Lo Stato quindi non si occupava del problema e quando Muccioli ha iniziato ad accogliere alcuni tossicodipendenti a sue spese in un terreno di sua proprietà per farli disintossicare e per reinserirli nella società civile, ha ritenuto utile questa soluzione. La comunità si ingrandisce e gode sempre più di consensi: molti genitori disperati portano i propri figli dipendenti da sostanze e chiedono a Muccioli di accoglierli nel “locus amoenus” che ha creato, in cui queste persone hanno la possibilità di riprendersi la loro vita.

Nel 1980 però Muccioli viene messo sotto accusa nel cosiddetto “processo delle catene“: emerge infatti che alcuni ospiti vengono incatenati e rinchiusi in anguste celle del canile, isolati da tutti gli altri per alcuni giorni. Il fondatore di San Patrignano si difende sostenendo che nella fase più dura dell’astinenza è necessario usare la forza per impedire che il soggetto possa cedere alla dipendenza. Muccioli infatti si paragona al padre che occasionalmente “tira uno schiaffone” per il bene del figlio che gli disobbedisce. Ed è su questa controversa questione che si è scontrata l’opinione pubblica: c’era chi appoggiava, e appoggia, il cosiddetto “metodo San Patrignano” giustificando la propria posizione con la frase erroneamente attribuita a Machiavelli, “il fine giustifica i mezzi“: accettano dei mezzi discutibili, o addirittura degradanti, per il raggiungimento del bene superiore, cioè la salute del tossico. Non era dello stesso avviso chi riteneva questi mezzi discutibili, o addirittura degradanti, tra cui i giudici che hanno condannato Muccioli nel processo di primo grado per maltrattamenti e sequestro di persona (giudizio poi ribaltato in Appello e Cassazione, dove è stato dichiarato innocente).

Vincenzo Muccioli, fondatore di San Patrignano

Dalle testimonianze emerge che Muccioli fosse una delle figure chiave dell’Italia di quegli anni: specialmente dopo i processi affrontati (oltre a quello delle catene, fu accusato e condannato per favoreggiamento in occasione di un omicidio di un ospite della comunità) i media e tutti i cittadini si schieravano o con lui o contro di lui. Questo però non è sempre possibile, perchè la verità non è mai univoca, uguale per tutti. Sicuramente bisogna riconoscere in San Patrignano un’istituzione fondamentale, che in molte occasioni si è sostituita ad uno Stato assente che non voleva fronteggiare il problema della droga e della tossicodipendenza. E bisogna anche riconoscere che Vincenzo Muccioli è stato in grado di creare una realtà in cui tante persone sono riuscite a salvarsi da un futuro certo e tragico, utilizzando però mezzi senz’altro discutibili. Tuttavia la docu-serie fa emergere che in questo caso “bene” e “male”, “giusto” e “ingiusto” non si possono distinguere nettamente, poiché più volte i due poli non sono così diversi.

Il fine giustifica i mezzi, dunque? Sicuramente dipende dal fine e dai mezzi, e nella storia raccontata in SanPa, il fine è la vittoria nella guerra alla droga, ma spesso gli ostaggi (i tossicodipendenti) parteggiano per quest’ultima.

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