Nonostante la globalizzazione sempre più pervasiva esistono culture che provano a sottrarsi e a isolarsi per mantenere forti le proprie radici o per rifiuto verso gli altri. Questo tema non è spesso trattato, ma lo fa la serie Netflix Unorthodox.
Tratta da una storia vera (l’autobiografia di Deborah Feldman, “Unorthodox: The Scandalous Rejection of My Hasidic Roots”) racconta di come Esty, una giovane ragazza appartenente alla comunità ebraica di Williamsburg a New York, scappa dalla città dove è nata e cresciuta per andare a Berlino. Tanti sono i motivi che la convincono, tra cui il matrimonio combinato con Yanky Shapiro e il dovere di rimanere incinta per poi partorire molti bambini. Parte con poche aspettative ma tanti desideri, primo su tutti quello di una vita migliore e degna di essere vissuta.

Esty, infatti, inizialmente è convinta della sua appartenenza alla comunità e del rispetto delle sue stringenti regole anche perché prova amore verso la sua famiglia, composta dai nonni e dalla zia: il padre è inaffidabile e inadatto al ruolo che dovrebbe ricoprire e la madre è lontana dalla città e dal loro stile di vita. Tutto cambia però quando sposa in età adolescenziale un altro membro della comunità, Yanky Shapiro: all’improvviso si accorge che non è pronta a svolgere i suoi “compiti” di moglie e di madre ed è spaventata dalla vita che la aspetta. Si sente diversa rispetto alle donne con cui è cresciuta e in generale alle altri abitanti di Williamsburg. Suo marito invece è un convinto ebreo, fortemente religioso e attaccato alle tradizioni e alla sua cultura. Forse nemmeno lui si sente pronto ad affrontare ciò che è già stato deciso, ma lo accetta ugualmente per cieca devozione e appartenenza. Il loro è un rapporto freddo e distaccato, senza particolare passione o affetto: fanno ciò che devono fare senza farsi coinvolgere più del dovuto.
Durante i quattro episodi in cui la storia si sviluppa e si conclude (non ci dovrebbero essere quindi ulteriori stagioni) vengono affrontati diversi temi: viene posta particolare attenzione sulla donna, che in questa cultura come in tante altre ha funzioni e ruoli completamente diversi da quelli dell’uomo ed è spesso denigrata. Inoltre è forte il tema del distacco, che Esty prova quando fugge a Berlino ma anche mentre è ancora a New York, dove si sente quasi un’estranea rispetto ai suoi familiari e rispetto alle dinamiche sociali così radicate nella comunità che se non sono condivise sono spesso oppressive.
La comunità in questione è quella di Williamsburg, quartiere di Brooklyn dove risiedono molti gruppi etnici, tra cui ispanici, italiani e appunto ebrei. Questi ultimi sono ebrei hasidici, ultra ortodossi che generalmente limitano i contatti e gli scambi con le altre comunità e hanno come ideale fondante quello di conservare le proprie radici. In particolare, coloro che abitano questo quartiere sono membri del movimento Satmar, che è costituito dai discendenti di ebrei ungheresi e rumeni che sono sopravvissuti all’Olocausto e che sono fuggiti negli Stati Uniti dopo la Guerra. La serie mette in risalto l’inevitabile importanza che ancora oggi gli ebrei danno a questo evento che ha traumatizzato l’intero mondo nel Novecento.
I creatori stessi l’hanno definita come un “film d’epoca ambientato nei giorni nostri”: in effetti quando la si guarda si ha questa impressione. Gli abiti tipici sono diversi da quelli “occidentali” che ci si aspetterebbe da cittadini statunitensi e soprattutto non è girato in inglese, ma in Yiddish. È l’antica lingua usata anche oggi dagli ebrei, che ha somiglianze con il tedesco e l’inglese: deriva infatti dallo stesso ceppo linguistico ed è stato uno degli elementi comuni ai tanti sottogruppi di ebrei che hanno abitato e abitano molti stati d’Europa e anche di altri continenti, quali appunto gli Stati Uniti. C’è stata dunque la necessità di far recitare attori che conoscessero la lingua e che la sapessero parlare fluentemente: ad esempio Eli Rosen, che nella serie interpreta il rabbino, è interprete di Yiddish ed esperto della cultura ebraica e ha fornito molte informazioni essenziali per la realizzazione dello show (fonte: Unorthodox. Dietro le quinte).
Unorthodox è un prodotto originale, molto interessante e formativo che, pur trattandosi di una serie televisiva, racconta in modo credibile una realtà esistente che però spesso non è conosciuta e approfondita abbastanza. È necessario aggiungere, inoltre, che vengono aggiunti elementi e dettagli alla storia di Deborah Feldman per necessità di sceneggiatura probabilmente, ma non allontanano di molto la serie dalla realtà.
Nota: dopo aver guardato la serie puoi anche guardare Unorthodox: dietro le quinte, in cui la produzione e il cast raccontano la loro esperienza e forniscono molte informazioni utili.

